Grande (s)fortuna del nostro tempo, tocca dirlo, è la libertà di parola. Siamo costantemente in balia di chi le opinioni le fa scivolare fuori dalla bocca come l’aria i condizionatori; cicloni di baggianate, tormente di idiozie e nubi di ignoranza – del resto, la ragione la si ottiene più per furbizia che per intelletto -: questo è il clima in cui ogni giorno siamo chiamati a cercare la verità. I tempi non incoraggiano molto; da un lato non siamo più positivisti con tante sicurezze alle spalle ed un capolinea davanti, dall’altro siamo un po’ assuefatti a chi confeziona per noi certezze assolute che ci ipnotizzano in pubblicità, marchi e mode. Tempo difficile ma con un gran potenziale per i pensatori: l’incertezza, la polifonia e la vicinanza comunicativa di chi un cervello lo usa – pensiamo, quand’è stata l’ultima volta che abbiamo attivato il nostro? – danno spazio a maggiore confronto; e senza giocare a fare Aristotele, la rete è un’ottima base per la tolleranza ed il dialogo – non a caso l’hanno inventata al Cern, dove il QI medio è certamente superiore rispetto a quello della popolazione americana -. Possiamo anche chiederci: Quanto vale pensare? Quanta felicità sono disposto a mettere in pegno per ottenere la verità? Quale fine? Speriamo che le esili parole di questo articoletto possano aiutarci a rispondere.
I – Giornalismo ed iperrealtà
Ci sarà un perché dietro al fatto che i media siano anche mass, e ora andiamo a screditare quella consapevolezza rispetto alla realtà che crediamo di avere quando leggiamo un articolo o quando guardiamo il telegiornale. Tra le tante teorie in merito, proponiamo quella di Jean Baudrillard, filosofo francese della seconda metà del novecento che indaga il rapporto uomo-media-realtà nel suo saggio “Simulacres et Simulation”: egli afferma, riguardo alla televisione, che essa definisce il nostro mondo attraverso il potere delle immagini, che, tuttavia, non necessariamente riproducono la realtà. Ci troviamo quindi in condizione di iperrealtà, percepiamo ciò che ci circonda in modo corrotto, galleggiamo in un mare di simulacri. Oltre a ciò che dice Baudrillard aggiungiamo due esempi: duecento anni fa le possibilità di uscire di casa per un viaggio e scomparire oltre l’orizzonte – causa malviventi, rapine e chi più ne ha, più ne metta – erano nettamente più elevate ma, generalmente, si viveva “felicemente” e con più ignoranza resto – non che le due cose non vadano di pari passo, anche Goethe non era di ottimo umore prima di iniziare il suo “Viaggio in Italia” -. Oggi invece siamo, da un canto assuefatti alle continue notizie straordinarie che affollano le prime pagine dei quotidiani, cosicché sicuramente uscito di casa cadrò nelle grinfie di qualche malintenzionato che mi sventrerà per poi rivendere gli organi o di qualche straniero – e chi è il vero straniero? – che mi borseggerà non appena girato l’angolo; analogamente si parla delle quarantatré vittime del crollo del ponte Morandi ma non si parla della riduzione di incidenti stradali al venti per cento negli anni di concessione ad Autostrade per l’Italia. Dall’altro canto siamo come Bip-bip che continua imperterrito la sua vita senza che Willy il Coiote riesca mai a scalfirlo, così pericoli da cui dovremmo essere terrorizzati – il nucleare, la sovrappopolazione ecc., per restare in tema cospirazione – ci passano accanto senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Spesso vittime più di noi stessi che della realtà.
II – Dove la ragione può ancora fare luce
Tralasciando le nostre strade accecanti per le insegne luminose, abbiamo parlato con chi il peso della verità lo avverte, chi ne sente la necessità. Valère ha studiato presso la facoltà di agraria di Piacenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ora vive e lavora in Congo, suo fratello Anselme invece si trova in Italia e si impegna per la divulgazione della situazione socio-politica in Congo. In merito a ciò di cui stiamo per parlare si trova qualche articoletto ne “La Repubblica”, “L’Avvenire” e perlopiù giornali specializzati sul Continente Nero; indubbiamente però permane un alone di disinformazione che nel nostro piccolo, tentiamo – almeno in parte -, di colmare. La Repubblica Democratica del Congo si trova in centro-Afrrica, ha un’estensione pari a sette volte quella Italiana ed è caratterizzata dall’alta quantità di etnie (453) e religioni presenti, la cui maggioranza è costituita da quella cristiana. Sul fronte politico, la Repubblica sta vivendo periodi travagliati. Il presidente Joseph Kabila, pur avendo terminato il suo mandato nel 2016, dopo dieci anni al potere, non è ancora sceso dal trono imperiale. Gli viene anche concessa una proroga di un anno per organizzare le nuove elezioni ma, alla fine dei conti, nulla di fatto. Per combattere questa situazione è stato costituito il Comitato Laico di Coordinamento, che nel dicembre 2017 organizza una manifestazione pacifista, chiedendo di armarsi di “rosario, bibbia e un ramo di palma”, si sfocia ciònonostante nella repressione armata, con la polizia che uccide dieci manifestanti ed arresta suore e preti. Il cardinale Mosengwo Passinya, allora vescovo di Kinshasa, dice in merito: “il congolese vive nel proporio paese come se fosse in carcere a cielo aperto”; “Lo scopo è quello di creare disordini, sia per occupare spazi degli autoctoni, sia per sfruttare ricchezze. […] E questo è alimentato dai paesi limitrofi purtroppo con la complicità dei congolesi stessi con la passività del le autorità congolesi, che invece dovrebbero proteggere la popolazione”, “Di fronte alle intenzioni macabre del mondo delle multinazionali che lavora senza tenere conto delle aspirazioni della gente, ci sono degli appelli che si fanno alla comunità Internazionale per fermare questo spiraglio di violenza in modo che il Congo possa funzionare come tutti i paesi democratici. Perché la gente possa eleggere i dirigenti che vuole.” Dice invece Valère. La Repubblica congolese è uno stato con ricchi giacimenti minerari – in particolare coltan e rame – e “tutti abbiamo un pezzo di Congo nel nostro quotidiano, che sia con cellulari, PC, tablet, auto”. Il popolo vive sottoposto ad un continuo sfruttamento dovuto al reperimento di queste risorse , che è costato la vita a dodici milioni di persone dal 1998, tanto che anche l’Onu ha mandato un contingente in “missione di pace”: “Tutta la comunità internazionale è presente dentro a questa nazione sotto due forme: militare “regolare” (ossia i 22 mila caschi blu dell’ONU che facilitano l’accaparramento delle risorse tramite le multinazionali occidentali) e mercenari (prevalentemente africani- ruandesi, burundesi, ecc. i quali fanno il lavoro sporco, ossia uccisioni, stupri, caccia agli autoctoni).”, “. A cosa serve tutta una popolazione o esercito di più di 5 mila uomini Caschi Blu in Congo? Forse per tutelare gli interessi delle multinazionali delle rispettive nazioni di appartenenza? In ogni caso, sia il risultato sia lo stato in cui versa il paese è sicuro che l’ONU non è in Congo per i congolesi” dicono i due fratelli. “Il silenzio (oltre alla paura) è la benzina per la macchina messa in moto dalle potenze unite per impossessarsi del Congo decimando i congolesi. La lotta instaurata dalla società civile del Congo continuerà fino alla fine, qualsiasi essa sia”, tocca dire che noi ne siamo complici e testimoni. In una simile miseria si riconosce però un barlume di speranza: “La Chiesa cattolica, che rappresenta 40 % della popolazione, è per questo una speranza e una grande forza per il ristabilimento della pace, della giustizia e del benessere della gente”; “Papà Francesco richiama molte volte quello che succede in Congo”.
III – Cosa ci resta da fare?
Possiamo procedere imperterriti sulla nostra strada, retta, lasciandoci scivolare accanto gli emisferi i poli negativi della realtà, condannandoci così ad una inebetente felicità; possiamo evitare di guardare, voltare la testa e scappare dai si e dai no. Possiamo anche, però, porgere le terga all’ignava omertà – perché siamo più colpevoli quando non facciamo nulla che quando facciamo un che di sbagliato – e porci a resistenza, come voce fuori dal coro, cantando la verità. Ne abbiamo il diritto, ma anche il dovere.
“Finché esisterà, per opera di leggi e di costumi, una dannazione sociale che in piena civiltà crea artificialmente degli inferni e inquina di fatalità umana il destino, ch’è cosa divina; finché non saranno risolti i tre problemi del secolo, la degradazione dell’uomo nel proletariato, la decadenza della donna nella fame, l’atrofia dell’infanzia nelle tenebre; finché in talune regioni, sarà possibile l’asfissia sociale; in altri termini, e da un punto di vista ancora più vasto, finché ci saranno sulla terra ignoranza e miseria, libri della natura di questo potranno non essere inutili.”
V. Hugo, Premessa a “I Miserabili”, 1862
Daniele Ferrari, 3scA