Quando intervisti una persona e questa esordisce dicendo: “Il mio è un lavoro di secondo piano, nessuno fa caso più di tanto a quello che faccio” capisci che l’intervista andrà bene. Capisci di aver a che fare con una persona umile, coi piedi per terra, disposta al confronto. E capisci che nonostante sia la tua preside, e ti tremino le mani e la voce dall’agitazione, dalla paura di fare una domanda sbagliata, forse essere lì ne valga la pena. Parlare con la Professoressa Arvedi vuol dire anche questo.
Le rispondo con una verità che appare mascherata da menzogna ben educata, quando le dico che in realtà nella mia esperienza scolastica degli ultimi quattro anni la figura della preside sia stata per me, come per molti altri studenti del Gioia, un simbolo carismatico e non solo: mi sono sempre vantato di frequentare un istituto che, con i suoi tanti difetti, è sotto la guida di una persona competente, che guarda sempre avanti nelle sue scelte, ed opera per il bene dei suoi studenti.
Ora la smetto con questo sproloquio stilnovistico da lecchino (si può dire, non è una parolaccia?) e vi racconto cosa ci ha detto.
Prima domanda, per contestualizzare: guardando al passato, chi è la professoressa Gianna Arvedi? Qual è la sua formazione? Quali sono state le esperienze che più l’hanno segnata?
Diciamo che la mia vita è sempre stata dedicata alla scuola. Mi sono subito laureata in filosofia, con l’intenzione di divenire insegnante. Per i primi anni della mia carriera ho quindi insegnato lettere e materie affini. La grande svolta avvenne all’età di trentacinque anni, quando molto giovane vinsi il concorso per diventare preside; la prima scuola di cui fui dirigente fu l’Istituto Commerciale di Lodi, poi il Mattei di Fiorenzuola, di lì al Colombini, dove introdussi l’indirizzo tecnologico e di scienze sociali, finché nel 1998 divenni preside del Liceo Gioia.
In contemporanea ai miei primi anni di carriera condussi anche una breve ma intensa carriera politica, sempre rivolta tuttavia all’istruzione; fui prima Assessore all’Istruzione e all’Anagrafe, poi consigliere comunale. In questo periodo ebbi il controllo di tutte le operazioni scolastiche, riguardassero gli asili o l’università, esperienza che mi sarebbe poi servita in seguito nella mia carriera di dirigente scolastico. In quegli anni contribuii all’ampliamento dell’Università Cattolica con l’aggregazione di più facoltà. Ricordo ancora l’imbarazzo che provavo io, ancora piuttosto giovane, nel confrontarmi con dei professori ultrasessantenni, che mi parevano così anziani. Come cambiano le cose…
Guardando al futuro: cosa le piacerebbe fare “da grande”?
Se posso rispondere sinceramente, non lo so. Sicuramente prima o poi dovrò andare in pensione, ma prima devo ancora risolvere parecchie cose in questa scuola, dove ho trascorso così tanto tempo. Per quanto riguarda il post-pensionamento tuttavia non ho ancora dei piani ben definiti.
L’anno prossimo in prima arriveranno i ragazzi che sono nati l’anno in cui lei ha iniziato a dirigere il Gioia. Cos’è cambiato da allora, e in cosa si sente di aver contribuito più fortemente?
Questa che fai è un’osservazione interessante. Comunque sono varie le cose che sono cambiate nell’arco di questi quindici anni.
In primo luogo il numero degli iscritti: quando arrivai la scuola contava 700 studenti con solamente gli indirizzi classico e scientifico, mentre l’anno prossimo avremo 1800 iscritti, che credo sia il numero massimo contenibile dalla scuola, con gli indirizzi classico, linguistico, scientifico e tutti i vari sperimentali. Per quanto riguarda gli indirizzi appunto, in questi anni ho cercato di svilupparne il più possibile, ottenendo la possibilità di avere nello stesso istituto aree umanistiche e scientifiche, rendendo il liceo non più una semplice scuola, ma un vero e proprio polo scolastico.
Il secondo dato lo si ritrova in quella che è stata la trasformazione dei luoghi; al mio arrivo il Liceo Gioia era composto esclusivamente da quella che oggi è la sede centrale, condivisa con una scuola media, con le cantine abbandonate, pochi laboratori da risistemare, ed il problema che ancora oggi ci trasciniamo della palestra. Oltre all’accorpamento delle sedi distaccate di Romagnosi e Gesuiti, la “bonificazione” delle cantine, la costruzione di nuovi e più moderni laboratori, la scuola negli ultimi anni ha vissuto un completo rinnovamento dei locali: tutto il mobilio è stato riacquistato, dalle sedie, ai banchi, agli armadi. Ho sempre pensato che si lavori meglio in un ambiente gradevole. Se vedo un pavimento pulito, ci tengo resti tale: se il pavimento è già sporco contribuisco a sporcarlo.
L’ultimo dato da considerare è la completa rivoluzione informatica che ha coinvolto l’istituto: siamo stati i primi ad avere un sistema di registri completamente su computer ed online. Puntiamo in due anni a munire ogni studente di notebook, sul quale sarà possibile consultare i libri di testo. Badate bene, ho detto consultare, non sostituire; i buoni vecchi tomi di latino e simili dovranno completare la funzione dei libri multimediali con la parte “sporca” del lavoro, quella che comprende lo studio e le assegnazioni domestiche.
Come ha già detto, l’anno venturo la scuola toccherà quota 1800 studenti. Già durante l’anno scolastico corrente sono state riscontrate alcune difficoltà nella gestione dell’ingente numero d’iscritti. Quali misure prevede di prendere la scuola su questo fronte?
Continuerà seguendo la politica di quest’anno, ovvero cercando di trovare la sistemazione migliore per le classi, cercando di evitare il crearsi di situazioni di grande scontento; si continuerà ruotando più classi nelle aule con sede nello scantinato, le quali non devono essere considerate quanto tali, ma come una situazione di transito.
In questo campo siamo stati lasciati piuttosto allo sbando dalla provincia, la quale dovrebbe predisporre insieme alla scuola i locali per l’insegnamento. Abbiamo quindi dovuto arrangiarci con i pochi mezzi che avevamo a disposizione.
Tuttavia è lecito pensare che col raggiungimento della quota di 1800 studenti la scuola abbia raggiunto la capienza massima possibile.
Ultima domanda, poi leviamo il disturbo. Giovani e futuro: cosa ne pensa?
Penso che parlare di giovani e di futuro voglia dire parlare della stessa cosa. Per questo e per tanti altri motivi mi ritengo una privilegiata, perchè ho da sempre avuto l’onore di lavorare con e per dei giovani, vedere i loro cambiamenti, vederli crescere.
Credo tuttavia che gli enti pubblici abbiano tuttavia abbandonato i giovani a se stessi: vedo Provincia e Ministero sempre più distanti da quelle che sono le realtà giovanili, e uno stato che da anni non investe sull’istruzione: non investire sull’istruzione vuol dire non investire sul futuro, poichè da qui nascono tutte le forze lavoro che verranno.
Vi lascio con un consiglio: puntate sempre in alto, siate arroganti nel porvi i vostri obbiettivi, presuntuosi, poichè chi pensa in grande non può non avere successo.
Riccardo Bassi
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