Tutto su mia madre è il film capolavoro scritto e diretto da Pedro Almodóvar nel 1999 al vertice della sua maturità artistica. È una dedica “a tutte le attrici che hanno interpretato delle attrici, a tutte le donne che recitano e a tutte le persone che vogliono essere madre”.
Il testo teatrale, basato sulla sceneggiatura originale del regista spagnolo, è stato adattato da Samuel Adamson.
Manuela (Elisabetta Pozzi), la protagonista della storia, ha un’esistenza poco ordinaria. Nel corso della sua vita ha fatto tante scelte, una più difficile dell’altra: quella di rimanere accanto all’uomo che amava anche dopo la trasformazione che l’ha portato ad avere un paio di tette più grosse delle sue; quella di fuggire lontano, sparire senza lasciare traccia si sé, nel momento in cui si rende conto di essere incinta. Quella di crescere suo figlio Esteban (Alberto Onofrietti) da sola, di non dirgli nulla di suo padre, chi fosse, cosa facesse né il perché della sua assenza…
Un giorno suo figlio la mette con le spalle al muro ed esige da lei le risposte a tutte le domande che da diciassette anni gli risuonano in testa. Manuela si rende conto di non poter più fuggire e gli fa una promessa, quando però è il momento di mantenerla è ormai troppo tardi, improvvisamente è un’altra vita. Manuela scappa di nuovo. Un profondo senso di colpa la porta a intraprendere un viaggio, a confrontarsi col passato e andare alla ricerca di quel padre, a cui poter finalmente raccontare tutto di suo figlio. In questo viaggio incontra altre donne in bilico sul ciglio della vita, ognuna col suo dolore che gli morde il petto, ma tutte con una visione ironica della propria esistenza, una sorta di basso continuo in questa sinfonia per anime sole.
Incontra la famosa attrice Huma Rojo (Alvia Reale), un’icona per suo figlio Esteban, e scopre che nella vita privata è un’anima in pena, alla continua rincorsa di un amore malato verso una ragazza molto più giovane di lei, Nina (Giovanna Mangiù), fragile, in fuga da ogni cosa, prima di tutto da se stessa. Incontra Suor Rosa (Silvia Giulia Mendola), un’anima complicata che non vuole rinunciare a credere all’esistenza di un amore incondizionato che non si aspetti nulla in cambio. In parallelo Rosa vive il conflitto con sua madre (Paola Di Meglio), una donna apparentemente anaffettiva, ma che in realtà è soltanto indurita dalla vita. Incontra Agrado (Eva Robin’s), travolgente amica trans, spirito franco, convinto che nella sua vita di autentico ci siano soltanto i sentimenti e il silicone.
Manuela diventa necessaria a ciascuna di loro e in qualche modo inizia a imparare di nuovo a fare cose che possano durare nel tempo.
Tutti gli attori hanno saputo rendere la storia del film di Almodóvar con i suoi temi (come: la maternità, la paternità, l’omosessualità, uomini che diventano donne, ecc.) divertente e interessante. Lo spettatore è, dunque, coinvolto e indotto a riflettere sulle tematiche proposte. Qui il teatro ha proprio la funzione di luogo dentro cui poter ricostruire le domande alle mille risposte che pensiamo di possedere; perché aiuti l’uomo a stare con l’uomo; lo incoraggi a prendere parte di una comunione, a un rito collettivo; perché attraverso lo spaesamento e lo spiazzamento dai luoghi comuni possa capire cosa diavolo sta succedendo in questo mondo.
Leonardo Marchini
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