E cinque, sei, sette, otto. Chi, come la sottoscritta, ha passato gran parte del suo tempo libero tra grand battement e fouettè avvertirà in queste semplici parole, apparentemente prive di significato, una melodia, una dolce sequenza di suoni, pura poesia. Parole che preludono a uno spettacolo magnifico: parte la musica, tanti corpi cominciano a muoversi all’unisono creando una magia.
Ormai sono tanti anni che sono immersa nel mondo della danza, tanti anni che questa disciplina è diventata parte di me; è per questo che, dopo aver sentito della storia di Mariafrancesca Garritano, un irrefrenabile impulso mi ha portato a scrivere e raccontare questo mondo dall’interno.
Costei era una giovane ballerina della Compagnia del Teatro alla Scala di Milano. Era, perché dopo aver denunciato al quotidiano inglese Observer gli innumerevoli casi di anoressia e svariati disturbi alimentari di cui sono affette le ballerine sue compagne, è stata licenziata in tronco. E, ancora una volta, si è ripetuta la stessa storia di sempre: qualcuno, solo per aver trovato il coraggio di raccontare qualcosa che sarebbe stato meglio per molti tenere nell’oscurità, è stato punito a dovere. E, in questo caso, ci ha rimesso perdendo il lavoro.
Lei ha tentato di rendere il mondo consapevole di quello che davvero comporta essere una ballerina: enormi sacrifici, rinunce, pressioni, tutto in nome di questa passione che ti sconvolge la vita; ma fin qui niente di nuovo, è più che giusto che una disciplina richieda degli equi sforzi. Il problema è un altro: la terribile ossessione per la perfezione fisica. Perché se non sei tanto magra da essere anoressica, non sarai mai nessuno.
Oggigiorno si parla dell’anoressia con una leggerezza allucinante. E’ divenuta una consuetudine il fatto che ci siano ragazze (e perché no, anche ragazzi) che smettono di mangiare per volere essere più belli, più magri, più tutto. Ma non è così che dovrebbe essere.
Quello della danza è un mondo complesso. L’ho provato sulla mia pelle, il continuo misurarsi con sé stessa, con le compagne e con il proprio corpo; il desiderio di spingersi sempre più in là per riuscire a farcela. E devo sottolineare ho sempre ballato a livello amatoriale, posso solo immaginare quanto queste sensazioni si amplifichino quando arriva il momento di esibirsi davanti a un pubblico di migliaia di persone. Non ho mai neanche tentato di sfondare; anche quand’ero una bimbetta di un metro e dieci sono sempre stata terrorizzata, bloccata dall’ (allora) ingiustificata paura di poter fare seriamente del male a me stessa.
Ora, non sto cercando di dire che è inevitabile che tutte le ballerine cadano nel baratro di questa malattia, non fraintendete, non si può generalizzare; il mio era un più o meno lucido tentativo di ragionare sul perché, però, spesso e volentieri questo avvenga.
La danza non dovrebbe essere buio, disperazione, soffocamento.
La danza è vita, passione intensa. E potrebbe essere la stessa via che riesca ad allontanare dalla malattia.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.